Da Carta (26 ottobre 2007)
Questa
mattina davanti al carcere perugino di Capanne c’era folla. Un presidio
per ricordare Aldo Bianzino, ucciso in cella nella notte tra il 13 e il
14 ottobre, al quale si sono poi uniti i sostenitori dei cinque giovani
spoletini arrestati con l’accusa di far parte di una cellula
anarco-insurrezionalista affiliata all’associazione Coop Fai [Contro
ogni ordine politico federazione anarchica informale]. Nel giro di
quindici giorni il carcere e il suo direttore, Giacobbe Pantaleoni,
sono così finiti sotto i riflettori. Il caso di Aldo Bianzino, sul
quale indaga la procura di Perugia, è anche al centro di un’indagine
del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. E anche il
Comitato europeo per la prevenzione della tortura, rispondendo alla
richiesta dell’Associazione Antigone, ha annunciato che seguirà la
vicenda da vicino. E man mano che vanno avanti i lavori dei medici
legali, si infittiscono gli interrogativi sulla morte di Aldo. A
proposito delle lesioni al fegato, c’è un «modesto distacco», mentre ci
sarebbe una costola rotta e non due «con un interessamento compatibile
– secondo i medici legali – con un massaggio cardiaco». Si riapre così
la possibilità di un decesso seguito a un infarto. Ma bisognerà
aspettare ancora per avere i risultati definitivi dell’autopsia, almeno
un mese se non addirittura due. E anche se c’è da determinare cos’è
davvero accaduto in questa cella di Capanne, dove è morto Aldo nella
notte tra il 13 e il 14 ottobre. Ma rimane una certezza, in questa
cella Aldo c’era finito per due piantine di marijuana.
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