La Nazione del 6 novembre 2007 — PERUGIA — LA NOTTE prima di morire Aldo Bianzino (nella foto grande) chiamò aiuto. Suonò due o tre volte il campanello di emergenza della sua cella. La numero 20 della sezione transito del carcere di Capanne a Perugia. Ma l’agente di polizia penitenziaria in servizio gli rispose di smetterla e stare tranquillo perché il medico sarebbe passato solo il giorno dopo. E agli altri detenuti che intervennero in suo ‘difesa’ impose di non intromettersi. L’incidente probatorio davanti al gip Claudia Matteini (nel tondo) per fare luce sul giallo della morte in cella non scioglie completamente le ombre attorno alla fine del falegname di 44 anni. I detenuti confermano la versione dell’‘omissione di soccorso’, accusando il poliziotto indagato che però ha sempre negato. Difeso dall’avvocato Daniela Paccoi ha sostenuto, anche davanti al pm Giuseppe Petrazzini, di avere controllato regolarmente la cella di Bianzino senza notare alcunché di anomalo. Le testimonianze sono state assunte ieri mattina in aula alla presenza del pm, dell’avvocato Paccoi, dell’agente indagato e dei difensori delle persone offese: l’avvocato Massimo Zaganelli per la compagna e il figlio e l’avvocato Donatella Donati per la ex moglie di Bianzino. Prima hanno deposto i due tunisini che occupavano la cella 18. Uno dei due ha spiegato di essere sicuro che si trattasse del falegname arrestato per la coltivazione di alcune piante di marijuana perché conosceva la voce dell’altro italiano rinchiuso alla numero 21. Le chiamate sarebbero avvenuto tra la mezzanotte e le una e sarebbero state due o tre. I detenuti hanno però anche chiarito, rispondendo ad alcune domande, di non aver sentito alcuno entrare nella cella e di non aver sentito grida provenire da lì dentro. «Ci trattano bene e non siamo mai stati picchiati» ha riferito uno di loro. Poi sul banco dei testimoni è comparso un rumeno, un lavorante che vide alle 7 di mattina Bianzino (un’ora prima dell’intervento degli agenti) seduto sulla branda e appoggiato al muro. A quell’ora però probabilmente era già morto. Infine sono stati interrogati altri due tunisini (l’incidente probatorio è stato allargato in un secondo momento) che hanno confermato di aver sentito i suoni provocati dal campanello di emergenza senza però riuscire a individuare da quale cella, precisamente, provenissero. BIANZINO era stato trovato morto in cella la mattina del 14 ottobre scorso, un giorno e mezzo dopo essere stato arrestato. L’ipotesi iniziale era stata di un malore ma l’autopsia ha poi evidenziato alcune lesioni sospette all’encefalo, al fegato e alla milza e la procura perugina ha aperto un fascicolo per omicidio a carico di ignoti per chiarire la vicenda. Nell’ambito delle indagini condotte dalla squadra mobile è stato indagato l’agente della polizia penitenziaria per omissione di soccorso e omissione di atti di ufficio. «Prendo atto dei risultati dell’incidente probatorio» ha commentato l’avvocato Zaganelli. Mentre secondo l’avvocato Paccoi i detenuti hanno fornito versioni «contraddittorie» in particolare sull’orario nel quale ciascuno ha sentito il campanello. «Il mio assistito è tranquillo per il proprio operato, — ha spiegato il legale — consapevole di non essere mai stato chiamato da Bianzino quella notte. E’ inoltre più volte passato davanti alla sua cella e alle altre senza mai notare alcunché di anomalo». Erika Pontini
LA NOTTE prima di morire Aldo Bianzino chiamò aiuto
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