INCHIESTA LACUNOSA, LE RAGIONI DEI FAMIGLIARI DI BIANZINO
Emanuele Giordana
Domenica 3 Agosto 2008
Come morì Aldo Bianzino, l’ebanista di Pietralunga entrato in perfetto
stato di salute in carcere il 12 ottobre dell’anno scorso e uscito
senza vita dalla casa circondariale di Perugia due giorni dopo? La
domanda, cui la richiesta di archiviazione del Pm Giuseppe Pietrazzini,
sembrava aver dato una risposta definitiva con la richiesta di
archiviazione, rimbalza adesso nuovamente su una vicenda sin
dall’inizio apparsa oscura e piena di misteri. Il Gip Massimo
Ricciarelli, cui diverso tempo fa’ i famigliari presentarono
opposizione in sede civile, ha deciso di accogliere adesso anche
l’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata in luglio
dall’avvocato dei genitori di Aldo – Giuseppe e Maura – e di Roberta
Radici, la compagna di Bianzino con lui arrestata e poi rilasciata
senza che nemmeno le fosse stato detto, se non all’uscita dal carcere,
che Aldo era morto.
Si deve alla caparbietà dei famigliari dunque se il caso non si chiude
in uno scaffale degli uffici giudiziari perugini e se le eccezioni
sollevate dal legale, l’avvocato Massimo Zaganelli, ricostruiscono un
percorso di dubbi e interrogativi non ancora sciolti che il magistrato
ha evidentemente considerato validi, quantomeno a non far diventare la
storia di Aldo un semplice faldone di carte polverose. La ricostruzione
della parte civile mette in fila tutte le contraddizioni di quelle
terribili ore a cominciare dalla mattina di domenica 14 ottobre quando
Aldo è rinvenuto, inanimato, sulla branda superiore del suo letto. I
suoi indumenti si trovano, ordinati, su quella inferiore. La finestra
della cella è aperta seppure sia ottobre inoltrato e Aldo indossi solo
una maglietta a maniche corte. Per il resto è nudo. Il corpo viene
prelevato dagli agenti, trasportato subito fuori della cella e deposto
sul pavimento del corridoio dell’infermeria, sita a pochi metri. Viene
innalzato un lenzuolo così che gli altri detenuti nulla possono vedere.
Si tenta la rianimazione, effettuando il massaggio cardiaco sul corpo
inanimato. Uno dei medici dirà che “… non so spiegarmi per quale motivo
il detenuto sia stato portato sul pianerottolo davanti alla porta
dell’infermeria ancora chiusa poiché (in altri casi) il nostro
intervento avveniva direttamente in cella”.
Le indagini riveleranno “…lesioni viscerali di indubbia natura
traumatica (lacerazione del fegato) e a livello cerebrale una vasta
soffusione emorragica subpiale, ritenuta al momento di origine
parimenti traumatica…”. Ma poi le ricerche si esauriscono con
l’acquisizione dei filmati estratti dalle videocamere dell’istituto di
pena mentre viene aperto procedimento penale nei confronti di una
guardia per omissione di soccorso. La richiesta di archiviazione per il
reato di omicidio viene formulata dal Pm nel febbraio scorso con la
conclusione che Aldo è morto non per trauma ma per un aneurisma
cerebrale; la lesione epatica viene ritenuta estranea all’evento letale
facendo eslcudere “… l’esistenza di aggressioni del Bianzino”.
Motivazioni “assertive e generiche” che, secondo i legali della
famiglia, sono “insostenibili” e frutto di un’“istruttoria lacunosa”.
Valga per tutto una perizia medico legale secondo cui “…la
lacerazione epatica deve essere ritenuta conseguenza di un valido
trauma occorso in vita e certamente non può essere ascrivibile al
massaggio cardiaco, in riferimento al quale vi è prova certa che
avvenne a cuore fermo”.
Il commento, che Roberta Radici ha affidato al quotidiano “La Nazione”,
è lapidario: “Una scheggia di luce per il mio piccolo Rudra”, il figlio
di Aldo e Roberta rimasto orfano del padre a soli 13 anni. Nessuno in
famiglia si è mai arreso all’archiviazione: non gli altri due figli,
Aruna Prem ed Elia con la madre Gioia (che hanno presentato l’altra
istanza di opposizione), né i genitori e il fratello di Aldo. Il padre,
Giuseppe, domenica scorsa è salito sul palco del Goa Boa, il festival
per i diritti umani organizzato dalla Tavola della pace a Genova: di
fronte a 15 mila persone, convenute anche per il concerto di Manu Chao
e quello di Tonino Carotone, Bianzino ha ricordato il valore anche
civile della difesa dei diritti umani. Aveva rivolto un suo personale
appello al giudice perché non archiviasse il caso. Appello accolto.
http://www.lettera22.it/showart.php?id=9469&rubrica=219
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