Arrestato due giorni prima per possesso di marijuana
Perugia, muore in cella
L'autopsia: costole rotte
e lesioni al cervello
Checchino Antonini
Di sicuro si sa che non gli hanno neanche detto che Aldo era morto.
Quando Roberta ha chiesto del suo compagno le è stato detto soltanto che
lo avrebbe rivisto dopo l'autopsia. Di sicuro si sa che Aldo Bianzino,
44 anni, è morto all'alba di una domenica, il 15 ottobre, in una cella
del carcere di Capanne, Perugia. Di sicuro si sa che era stato arrestato
il venerdì prima, assieme a Roberta, la madre del più giovane dei suoi
tre figli. E' successo nel casale sopra Pietralunga, tra Città di
Castello, Gubbio e Umbertide. Prima la perquisizione alle 7 del mattino,
con il cane antidroga che non trova nulla nel casale. Ma poi, diero un
cespuglio spuntano alcune piante di marijuana. I giornali locali
riportano cifre consistenti. Un centinaio di piante ma forse hanno fatto
la somma con le piante maschio trovate in fosso secche e inutilizzabili.
Di sicuro sappiamo che Roberta e Aldo sono stati portati al
commissariato di Città di Castello per le formalità di rito e da lì
trasferiti, con un mandato d'arresto spiccato dallo stesso pm che si
occupa della morte di Aldo, al carcere di Capanne, struttura di media
sicurezza, dove non c'è il regime duro dell'articolo 41, come a Spoleto
o Terni. Struttura moderna, nuova, inaugurata da Castelli quand'era
Guardasigilli di Berlusconi.
Di sicuro si sa, l'ha detto la famiglia, che il comportamento degli
agenti di Città di Castello sia stato corretto. Roberta e il suo
compagno si sono persi di vista solo all'arrivo in carcere, pomeriggio
di venerdì 13. Di sicuro, un avvocato d'ufficio li ha visti il giorno
appresso, prima lui poi lei. Aldo stava in condizioni normali, solo era
preoccupato per Roberta. Roberta che sarebbe stata rilasciata la mattina
dopo. Di sicuro si sa che il medico legale avrebbe presto escluso
l'ipotesi di una morte per infarto. Anzi, avrebbe riscontrato quattro
emorragie cerebrali, almeno due costole rotte e lesioni a fegato e
milza. Di sicuro, e di strano, si sa che non c'erano segni esteriori.
Tanto da lasciare perplessi i consulenti incaricati della perizia. Di
sicuro si sa che le ferite al fegato non sono idonee a cagionare la
morte, spiega a Liberazione uno dei legali della famiglia, Massimo
Zegarelli del foro perugino. «Di sicuro sappiamo che è arrivato a Capane
in condizioni di assoluta normalità e da lì non è uscito». Trauma non
accidentale, non è morto perché caduto dal letto a castello. Lesioni
compatibili con l'omicidio, scrivono i giornali locali. Ci si chiede se
siano opera del caso oppure opera dell'uomo. Un arrestato resta in
isolamento fino a quando non lo vede il giudice delle indagini
preliminari. Dunque Aldo Bianzino non dovrebbe aver avuto contatti con
altri detenuti. «Una risposta importantissima verrà dall'analisi
dell'encefalo – continua l'avvocato – ora messo sotto formalina in
attesa che raggiunga una certa rigidità, che "il materiale si fissi",
come dicono gli specialisti». Intanto, però, i familiari non hanno
ancora potuto vedere il corpo, né sanno quando sarà possibile
organizzare i funerali.
Di sicuro si sa che Aldo era particolarmente mite, "ghandiano",
pacifista, totalmente incensurato. La notizia piomba nella piccola
comunità spirituale di cui Roberta e Aldo, che era arrivato dal Piemonte
una ventina d'anni fa, passando per l'India, fanno parte. E piomba in un
giorno di festa religiosa trovando tutti increduli. Aldo che era magro,
etereo, alto, con ceti occhi azzurri dietro le lenti. «La mitezza in
persona», racconta una voce a Liberazione. «Così rispettoso e riservato
da metterti in soggezione, quasi a farti dire ho paura di entrare nella
sua sfera». «Infarto? Come può essere? L'hanno pestato, ma perché
dovrebbero avero menato? Il dubbio sottile passava tra una mente e
l'altra», continua il racconto dell'incredulità di quella domenica. Chi
lo conosceva dall'84 lo immagina «calmo» dentro quella cella, «in
preghiera, a chiedersi il perché di quella condizione». Persona
riservata colta, segnato da un'esperienza spirituale con un maestro
induista «che non indottrina, non chiede proselitismo, non chiede di
stare fuori dal mondo, che non impone precetti rigidi ma solo il
principio quasi benedettino di
pregare e lavorare, i comandamenti di verità, semplicità e amore». Era
questo ad aver portato Aldo in Umbria alla ricerca di una dimensione
diversa più vicina alla natura, in una comunità a maglie larghe, «che a
volte il mondo frantuma perché ognuno di noi si deve affaticare nel
mondo». Ma lo stile cercato è quello di «vivere più semplicemente
possibile, con tutte le difficoltà di questo mondo che, lo si voglia o
no, si ripercuotono sempre anche su di noi».
Di sicuro si sa che due poliziotti sono tornati a casa di Roberta,
sconvolti, quasi a scusarsi per averlo condotto in galera. Roberta è più
scossa di loro. Di sicuro si sa che era un
bravo falegname, suonava l'armonium e cantava il canto rituale di
devozione. Di sicuro si sa che a giugno del 2006 è morta suicida
un'itaiana di 44 anni nel centro clinico del penitenziario, nel vecchio
carcere, e che qualche giorno dopo i Nas hanno scoperto medicinali e
materiali scaduti nello stesso centro dopo la morte di un detenuto
tunisino di Capanne che aveva appena subito un intervento chirurgico. Di
squadrette, finora, non ha parlato nessuno. Di sicuro si che il
proibizionismo ha ucciso ancora.
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