Io ho paura dell’uomo nero


Io ho paura dell’uomo nero, ho paura del silenzio, ho paura
dell’impunità, ho paura dell’indifferenza, dei giorni che passano senza
che si faccia nulla, dell’oblio, del tirare avanti, dell’egoismo e della
mancanza di solidarietà, della distanza che ci sta separando.

La notte tra il 13 e il 14 ottobre è stato assassinato, nel Carcere di
Capanne a Perugia, Aldo Bianzino, un uomo di 44 anni, arrestato due
giorni prima, insieme alla sua compagna Roberta, per possesso di piante
di marijuana.
Infarto dichiara il primo referto medico, secondo una prassi più che
conosciuta, ma la seconda prova medica riscontra sul corpo di Aldo gravi
contusioni al cervello, alla milza, al fegato, e diverse costole rotte.

E Aldo è morto. Come? Perchè? Chi è Stato?

L’accusa è di omissione di soccorso per i poliziotti incaricati di sorvegliare i detenuti quella notte.

Vogliamo chiarezza sui lati oscuri di questa vicenda.

Non ci basta una inchiesta aperta su un omicidio volontario contro ignoti, vogliamo che nessuna certificazione falsa e nessuna
omissione omertosa incida sulla certezza della verità.

Vogliamo che la responsabilità della morte di Aldo sia assunta colettivamente, non sia attribuita solo all’istituto penitenziario ma al suo sistema carcerario.

Il caso di Aldo è troppo simile a quello di Giuseppe Ales, Federico
Aldrovandi, Alberto Mercuriali, Marcello Lonzi, tutti figli di una sorta di "spontaneismo intollerante" che agisce violentemente contro gli stili di vita non omologanti.

Inoltre le loro e altre storie di violenze, morti e silenzi di Stato ci raccontano che nessun passo verso verità e giustizia si può fare se tutto viene delegato alle istituzioni.

E’ tempo di costituirci in comitato per la verità su Aldo, perchè non ci fidiamo di uno Stato che processa se stesso e che alla fine finisce sempre per autoassolversi o al massimo nel trovare un capro espiatorio che paghi al posto di un sistema che rende normale la violenza istituzionale e la tortura: quando la tortura non è reato il carcere uccide!

Vogliamo la verità, vogliamo che a nessun’altro succeda quello che è successo ad Aldo.

Vogliamo l’abrogazione della legge fini giovanardi.

Vogliamo vivere la nostra sicurezza, la nostra vita.

Vogliamo disinnescare le paranoia securitarie e arrestare le aggressioni proibizioniste, disattare le dinamiche di esclusione e di controllo sui corpi.

Vogliamo una municipalità altra, fatta di cittadinanze attive e partecipazione.

La sicurezza che vogliamo è sicurezza sul lavoro.

La sicurezza che vogliamo è sicurezza di avere un reddito.

Un paese che tortura chi coltiva una pianta e criminalizza gli stili di vita difficilmente può essere chiamato un paese civile.

Non vogliamo bugie, mistificazioni, insabbiamenti.

A chi chiede piu’ carcere chiediamo verità e giustizia.

Oggi Trasformiamo la nostra paura in azione.

  1. #1 di Carmelo Sorbera il 03/01/2008 - 9:41 pm

    L’assassinio di Aldo Bianzino deve avere giustizia. Farò tutto quello che posso per diffondere la sua Storia.Carmelo Sorbera

  2. #2 di Marcello il 10/11/2007 - 1:41 pm

    Un presunto omicidio, ad oggi velato di mistero, da vicenda locale, si fa notizia nazionale e quindi internazionale, eppure i principali Media sembrano ignorarla. Solo La Nazione, quotidiano locale, Liberazione , il Manifesto e Lettera 22, con altri giornali online, mantengono una cronaca costante dei fatti. Il primo novembre, il TG3 e la Repubblica rendono pubblica la notizia ma, ad oggi, se si digita sul motore di ricerca delle altre maggiori testate il nome di Aldo Bianzino, il risultato è un bello zero, il fatto non sussiste.
    Il primo novembre tutte le prime pagine riportano l’orrendo omicidio di Giovanna Reggiani a Roma, commesso da un rom, l’omicidio di Perugia conquista la sedicesima pagina di Repubblica, mentre in quattordicesima si rende noto che la Cassazione ha depenalizzato la coltivazione di cannabis per “uso ornamentale”. Tuttavia per cannabis si muore! Ne seguirà un commento di Michele Serra che conclude: “uno Stato con i nervi saldi non se la prende con gli hippies: se non altro perché avrebbe cose più urgenti e più serie da fare”.

    La tragedia di Aldo Bianzino si è consumata mentre in parlamento si discuteva della commissione per il G8. E’ forse perciò che la notizia ha avuto così poco risalto sui Media? Oppure, per molti Media, paga di più cavalcare l’onda xenofoba, rivendicando ronde e derive autoritarie? Non si può essere sgomenti, tanto quanto, di fronte alla violenza di un disperato a Roma e di apparati dello Stato in un carcere? Non si pone, in Italia, un problema di civiltà ben più vasto, che va oltre il problema dell’immigrazione? Quesiti che si sovrappongono mentre il dibattito sulla sicurezza ricopre sempre più vesti ideologiche e di propaganda politica, non dando ascolto alle statistiche che parlano del crescente fenomeno della violenza domestica. Si cacciano gli zingari, i diversi, i poveri, mentre sempre più spesso una donna muore per mano di un marito o di un fidanzato, la violenza si consuma dove dovremmo trovare rifugio e sicurezza, anche tra le mura di istituzioni che dovrebbero garantire l’incolumità.

    Aldo Bianzino è ricordato come mite, ”ghandiano”, pacifista, magro, etereo, alto, occhi azzurri dietro le lenti, “così rispettoso e riservato da mettere soggezione”. Viveva a Pietralunga, Perugia, in un cascinale, era falegname, lascia la sua compagna e tre figli a 44 anni.

    08/10/2007 Marcello Sordo

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