Siamo qua per raccontare la storia di un uomo, un mite falegname, esile, meditativo, incensurato.
Quest’uomo era un padre, un fratello, un figlio, un compagno di vita, un pacifico, un buono, un gran lavoratore, un giovane di 44 anni che aveva ancora tanto da dare a questo mondo.
La mattina del 12 ottobre scorso una pattuglia di carabinieri ha trovato alcune piantine di marijuana nel terreno del suo casolare di campagna, coltivate per uso personale, e per questo lo ha prelevato ed affidato alle patrie galere. Ha salutato il figlio quattordicenne e la nonna novantunenne (lasciati soli nella cascina isolata tra gli appennini umbri) con la serenità che lo ha sempre contraddistinto e con la sicurezza di essere di ritorno entro pochi giorni. Nel carcere di Capanne è stato sottoposto ad una visita medica che lo ha dichiarato in perfetta salute e poi rinchiuso in una cella di isolamento, da cui e’ uscito morto due giorni piu’ tardi.
Nel frattempo non c’e’ stata un’udienza di convalida dell’arresto, non è entrato in contatto con altri detenuti, non ha contattato nessuno esterno al carere.
Cosa sia invece successo in quella cella stanno ancora provando a stabilirlo le indagini, a quasi due mesi di distanza. Le analisi autoptiche parlano di lacerazioni ed emorragie a fegato e cervello, ma di nessun segno esterno di violenza. Quello che possiamo immaginare è una violenza compiuta da un "professionista" o, nella "migliore" delle ipotesi, un’omissione di soccorso. Quello che possiamo fare è, invece, affidare le nostre speranze ad uno stato che indaga su se stesso, in cui un fatto così grave viene sovrastato da casi di cronaca più "interessanti", magari con qualche scandalo sessuale, sicuramente senza il coinvolginento di pubbliche istituzioni. Quello che possiamo sperare è che sia fatta chiarezza su questo caso, che sia resa "giustizia" e dignità ad una persona, che tragedie del genere non siano più rese possibili.
Aruna Prem Bianzino
#1 di Rudi M. il 10/01/2008 - 6:32 pm
Nella mia modesta opinione, è stato fatto troppo poco per far conoscere la vicenda.
Anche se vi sono analogie con la morte di Federico Aldrovandi,in questo secondo caso sono “state sbattute le pentole”, è stato fatto conoscere il caso utilizzando ed animando il web, gridando e chiedendo (ancora stiamo aspettando) verità e giustizia.
Per Aldo Bianzino, poche parole, poche notizie, pochi commenti.
Eppure è un’alta morte che fa paura…
#2 di Carmelo Sorbera il 06/01/2008 - 10:25 pm
Parlare di una notizia a qualche mese di distanza dall’accaduto nella nostra Società può sembrare superato. Voglio evidenziare come l’eliminazione di una vita e la soppressione di tutti i diritti fondamentali nella vicenda di Aldo Bianzino vada aldilà della cronaca e sia una tragedia senza tempo. Oltre alla giusta rivendicazione di “giustizia” da parte dei famigliari bisogna rendere dignità alla persona e non tacere la perplessità che nasce nel sapere che il Pm dell’inchiesta sulla morte è lo stesso che ha fatto arrestare Aldo Bianzino. Nel 2000 è stata proclamata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, cito: “ Articolo 1 – Dignità umana – La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata. Articolo 2 – Diritto alla vita – Ogni individuo ha diritto alla vita. Nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato. Articolo 3 – Diritto all’integrità della persona – Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica….. Articolo 4 – Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti – Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”
La dignità umana è diritto fondamentale in sé e costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo: dov’è la Dignità umana, dov’è il Diritto alla vita, dov’è il Diritto all’integrità della persona per Aldo Bianzino. Aldo Bianzino è stato sottoposto a tortura con trattamenti inumani e condannato alla pena di morte. Accettare una violenza di Stato che crea diritto o che lo conserva per non degenerare in un anarchismo infantile non vuol dire accettare carnefici creati dal sistema. La condanna dei carnefici materiali della morte di Aldo Bianzino deve essere uguale a quella dei loro maestri. Non può essere accettabile che istituzioni istruiscano uomini alla tortura e all’assassinio, e se si accerta che sono delle entità parallele le istituzioni legittime non sono esentate delle loro responsabilità. Bisogna mitizzare la vicenda scegliendo la parola “falegname”( l’attività di Aldo Bianzino) o trenta €uro (la somma trovata a casa di Aldo Bianzino), o ritenere sacrificale la fine di Aldo Bianzino per evitare il ripetersi di tali tragedie. La realtà supera qualsiasi retorica, Aldo Bianzino è una persona normale non è un eroe e non è un “cristo” da mettere in croce. Non sentire il freddo dell’entropia sociale che la storia di Aldo Bianzino manifesta vuol dire essere morti dentro. L’urlo di dolore rimane in gola. Carmelo Sorbera