atemi nome e cognome di un solo ragazzo finito in prigione per un pezzetto di fumo e mi dimetto da deputato.
L’incauta dichiarazione, pronunciata a La7 nel dicembre del 2006, è di
Gianfranco Fini, sostenitore della legge contro gli spinelli insieme al
pio Giovanardi. In un anno gli incarcerati per detenzione di cannabis
ad uso personale sono stati più di 130.
Naturalmente Fini non si è dimesso e l’Unione, che nel programma si era
impegnata a superare la legge e ad istituire un garante a tutela delle
persone private della libertà, non ha concretizzato le promesse. E così
oggi, la repressiva legge ha al suo attivo anche un morto: Aldo
Bianzino un pacifico falegname di Pietralunga colpevole di coltivare
qualche piantina per uso personale.
Due giorni dopo il suo arresto viene trovato privo di vita, nudo, nella sua cella.
L’autopsia evidenzia lesioni all’encefalo, al fegato e alla milza.
Istituzione pericolosa quella carceraria. Il diritto alla vita di ogni
persona affidato alla tutela dello Stato dovrebbe valere, come in ogni
altro luogo, anche nelle patrie galere. Invece sono luoghi pieni di
violenza dove muoiono più di cento carcerati ogni anno. Anche quelli in
attesa di giudizio che, per la nostra Costituzione, sono innocenti fino
al giudizio definitivo. Bel Paese, l’Italia di Beccaria, che si fa
bello nella battaglia per l’abolizione della pena di morte nel mondo
poi entro i suoi confini incarcera e spinge alla morte la gente a causa
dello stile di vita, che la criminalizza per qualche piantina.
Sono passati cento giorni dalla scomparsa di Aldo. L’accertamento delle
responsabilità procede a rilento; prevale l’omertà, lo spirito di corpo
delle guardie carcerarie che parlano di congiura; non si hanno notizie
su eventuali analisi sugli abiti indossati, la stessa incriminazione di
una guardia per omissione di soccorso porta alla ovvia conclusione di
una morte naturale per aneurisma.
Ma il fegato staccato e le lesioni alla milza come possono essere stati
provocati da un aneurisma? Troppi dubbi nelle nebbie di Capanne e
l’opinione pubblica tende a dimenticare una morte oscurata
dall’ossessione mediatica per il tragico omicidio di Meredith Kercher
maturato, come sembra, nell’ambito di amici e conoscenti.
Belli, giovani, trasgressivi, Amanda e compagnia bella fanno audience.
Sesso, soldi e sangue solleticano le pulsioni meschine, fanno vendere,
eccitano e arricchiscono lo sciame di vespe dei bravi conduttori che si
prodigano nel raccontarci particolari insignificanti.
Poco più di una riga in cronaca per la morte di un falegname di Pietralunga.
Fiumi di parole e di inchiostro sprecati da politici, opinionisti e
preti in un caso, il silenzio nell’altro. Ero forestiero e non mi avete
ospitato, nudo e non mi avete vestito, ero malato e in carcere e non mi
avete visitato: chi saprà mai se i loquaci interventisti che
straparlano con un occhio alle telecamere e uno al pastore tedesco si
ricordano di questo passo del Vangelo di Matteo.
E la nebbia di Capanne tenta di oscurare anche l’incredibile vicenda
dei cinque ragazzi arrestati nell’operazione Brushwood a Spoleto.
Centodieci carabinieri dei reparti operativi speciali guidati dal
generale Ganzer, quattro elicotteri, il Procuratore capo Miriano che
formula accuse pesantissime come l’associazione con finalità di
terrorismo anche internazionale, eversione dell’ordinamento
democratico, invio di una missiva minatoria con due proiettili alla
governatrice Lorenzetti.
Sono passati tre mesi e non si hanno notizie di uno straccio di prova
ma Andrea e Michele sono in carcere in regime di elevato indice di
vigilanza cioè isolamento totale e censura sulla corrispondenza come i
capi mafiosi. Avrebbero potuto compiere azioni pericolose sostiene la
Procura. Avrebbero o hanno? L’affaire è più che preoccupante e
l’opinione pubblica democratica ha il diritto di saperne di più. O
vengono tirate fuori prove e riscontri oppure i due ragazzi devono
essere scarcerati. Subito. Sarebbe un raggio di sole che illumina le
nebbie oscure di Capanne.
tratto da: http://www.micropolis-segnocritico.it/mensile/?p=798
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