Intervista con Giuseppe Bianzino, padre di Aldo Bianzino


Intervista con Giuseppe Bianzino, padre di Aldo Bianzino
Francesco "baro" Barilli

17 giugno 2008

Aldo Bianzino, 44 anni, viene rinchiuso la sera del 12 ottobre
scorso nel carcere di Capanne a Perugia, per il possesso di alcune
piantine di canapa indiana. Viene trovato senza vita la mattina del 14
ottobre.
Aldo l’ho potuto vedere solo in fotografia; suo padre Giuseppe l’ho
incontrato la prima volta a Lodi, un mese fa. L’ho conosciuto tramite
Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi, anche lui deceduto in carcere
l’11 luglio 2003 (sulla sua morte si sono recentemente riaccese
speranze di verità, dopo la riapertura del caso). Quella sera Giuseppe
ha abbracciato anche Haidi Giuliani, e poi Danila Tinelli e Maria
Iannucci, rispettivamente madre di Fausto e sorella di Iaio. Incroci di
destini fatti di dolorose perdite e di mancanza di giustizia, un
affetto e una solidarietà che sorgono spontanei.
Dal confronto con le foto del figlio, risulta chiara la somiglianza fra
Aldo e Giuseppe. Alti, magri, grandi occhiali. Anche caratterialmente
Giuseppe ricorda quel che si racconta dell’indole del figlio.
Mitissimo, ma non per questo meno risoluto nel combattere le
ingiustizie. Nei gesti e nel sorriso i segni di una cordialità e di una
serenità che la tragedia ha incrinato ma non cancellato. "Mio figlio era molto aperto, disposto a parlare con tutti", mi racconta. "Già
da bambino, bastava che qualcuno lo chiamasse e lui gli sorrideva e lo
seguiva. In questo era simile a me, o almeno a come ero una volta. Oggi
sono cambiato. Una volta sorridevo sempre e qualcuno mi chiedeva ‘ma
cos’hai da ridere?’. Io semplicemente sorridevo perché mi sembrava che
la vita mi sorridesse. Oggi sorrido poco, quella domanda non me la
rivolgono più…".

Lo incontro nuovamente nella sua casa di Vercelli. Lui ha voglia di parlare e io di dargli voce.

Tu quando vieni a sapere della morte di Aldo?

Domenica pomeriggio, quando era già morto da alcune ore. Mi ha
telefonato Gioia, la sua prima moglie, madre dei due figli maggiori
(Aruna ed Elia). All’inizio ha chiesto se Aruna era lì da me, poi ha
tergiversato un po’, non sapeva come dirmelo. Prima ha detto che mio
figlio aveva avuto un infarto, solo dopo qualche minuto ha aggiunto che
era morto, ma non mi ha specificato i dettagli, non ha parlato del
carcere, non se la sentiva. In quel momento ha accennato solo a
mancanze nei soccorsi. Mia moglie era in giardino, gliel’ho dovuto
riferire io. Non sai cosa significa dire una cosa del genere a una
madre… Ho cominciato a sapere tutta la storia pochi giorni dopo. Poi,
dopo altro tempo ancora, è stata sempre Gioia a dirmi "adesso devo
raccontarti tutto". Mi ha parlato dell’autopsia, dei 4 ematomi
cerebrali, dei danni al fegato e alla milza. In quel momento si diceva
pure di due costole rotte, circostanza che però sembra essere stata
smentita dall’autopsia successiva. Nel frattempo erano cominciati i
contatti con Roberta, la sua compagna (arrestata assieme a lui e
scarcerata subito dopo la morte di Aldo), e la nostra battaglia comune
per capire cosa fosse successo in quella cella.

Ti sei fatto qualche idea su quanto accaduto?

Ho due ipotesi. Forse i suoi carcerieri pensavano davvero di
trovarsi di fronte a uno spacciatore. Non avendo trovato denaro in casa
di Aldo e Roberta (la perquisizione aveva raccolto solo trenta euro),
hanno pensato avessero nascosto "il malloppo" da qualche parte. Per
questo può darsi l’abbiano malmenato, per farlo confessare. L’altra
ipotesi si basa sull’idiosincrasia di mio figlio verso strutture chiuse
come il carcere. Aldo era molto tranquillo e aperto di carattere, ma
incapace di comportamenti servili e non incline al rispetto delle
gerarchie. In un ambiente chiuso e codificato come dev’essere il
carcere si crea quella subordinazione che pretende ritualità, rispetto
ossequioso verso gli ordini: una realtà impossibile per lui. Magari
questo l’ha portato a qualche reazione e di conseguenza può essere
scattata la voglia di dargli "una lezione".

Cosa puoi dirmi sullo stato delle indagini?

Il magistrato che aveva in mano l’inchiesta era lo stesso che l’ha
fatto arrestare. Un arresto che considero assurdo non solo per
l’assoluta mancanza di pericolosità di persone come Aldo e Roberta, ma
anche perché avvenuto di venerdì pomeriggio, costringendo quindi due
persone a restare in carcere inutilmente per almeno tre giorni. Tutto
questo senza poter vedere un giudice e chiarire la loro posizione, e
per di più lasciando Rudra e la nonna (ossia il figlio quattordicenne
di Aldo e Roberta, e una novantenne in precarie condizioni di salute)
completamente isolati e abbandonati a se stessi. Sulla sua morte è
stata chiesta l’archiviazione, a cui si è opposta tutta la famiglia,
coi rispettivi avvocati. Non so cosa aspettarmi delle indagini, seppure
da ignorante in materia legale ci vedo troppi buchi. Io pensavo che in
un carcere, almeno nei corridoi e nei luoghi di passaggio, ci fosse una
vigilanza costante, anche tramite telecamere, eppure ancora oggi non si
sa chi sia entrato e uscito da quella cella. Prima abbiamo accennato a
incongruenze nelle autopsie e voglio farti un esempio specifico. Le
lesioni al fegato le hanno giustificate con una manovra di rianimazione
maldestra, fatta con imperizia e troppa violenza. Ammesso che si possa
credere a questa versione, è possibile che non si sappia chi ha operato
quel tentativo di soccorso?

Alla fine si sta facendo strada la teoria di una morte per cause
naturali, per rottura aneuristica. Inoltre, si è parlato molto
dell’assenza di lesioni esterne…

L’aneurisma è un elemento di debolezza del sistema circolatorio, che
può starsene tranquillo per anni e poi cedere. Cosa posso dirti?…
Forse per deformazione professionale da vecchio chimico ragiono in
termini pratici, di impianti. Alla Thyssen Krupp l’impianto faceva
schifo, ma è successo qualcosa che l’ha fatto scoppiare. Ecco, anche
volendo credere all’aneurisma, io sono alla ricerca di quel "qualcosa".
Nulla capita per caso. Sulla mancanza di segni esteriori, tu pensi ci
siano lesioni esterne nei prigionieri di Guantanamo? O sui corpi dei
poveracci passati nelle mani di Videla o Pinochet per poi essere
scaricati in mare?

La storia di tuo figlio mi ricorda un panorama in cui la nebbia
prima si dirada e poi si riaddensa. Ci parla di una zona grigia nello
stato dei diritti, favorita dall’intreccio tra retorica securitaria e
guerra al diverso.

In questi tempi si fa un gran parlare di sicurezza, peraltro
cercando di distorcere la scala di importanza dei fatti. Quando si
parla di sicurezza e legalità non si parla dei morti sul lavoro, che
sembrano confinati in un altro pianeta, e neppure dei grandi
truffatori, che non sembrano destare quello che oggi viene chiamato
"allarme sociale". Intendiamoci, capisco che il ladro che ruba la
pensione alla vecchietta che l’ha appena ritirata sia un problema reale
e da affrontare, ma non capisco quale allarme possa essere determinato
da uno che si fa uno spinello. Chi vive alle nostre spalle rubando
miliardi o guadagnandoli in modo poco pulito, al contrario, non è
considerato pericoloso. Tu mi parli di nebbia e di zona d’ombra ed è
corretto; io, al di là del dolore personale, la storia di mio figlio
l’ho vissuta come un’enorme contraddizione. Una contraddizione di
quello che una volta avremmo chiamato "il sistema".

La vicenda di Aldo ti ha creato un’idea in generale del mondo
carcerario? E come è cambiata, se è cambiata, la tua visione della
giustizia?

Cosa penso del carcere? Che è una cosa diversa se ti chiami Geronzi
o Bianzino. Può sembrare banale ma è così, è quel che sento. Quando
oggi leggo di tragedie successe nei CPT, di persone malmenate o morte
"in circostanze misteriose", come si dice, provo la stessa sensazione:
carceri e CPT sono luoghi dove la persona perde i propri diritti. Per
questo è facile che lì dentro certe cose succedano, ed è difficile poi
scoprire la verità. E parlo di due luoghi che a torto si pensa debbano
tutelare solo chi sta fuori da chi vi è imprigionato. E’ falsissimo:
carcere e CPT dovrebbero tutelare pure chi sta dentro. Questo perché
anche chi viene rinchiuso in una di quelle strutture è sotto la tutela
dello Stato. Tutti, ma a maggior ragione quelli che, come Aldo, sono
reclusi senza aver subito una condanna e quindi vanno considerati
innocenti fino all’emissione della sentenza. Del resto ne abbiamo
parlato prima: quando si parla di sicurezza si parla di una sicurezza
monca e ambigua. Le morti in carcere sono tantissime. Non parliamo di
quelle nei CPT, visto che quei poveracci ormai sembrano appartenere a
una categoria subumana. Non parliamo di Carlo Giuliani: per lui hanno
ripristinato la pena di morte, direttamente in piazza. Una volta
avremmo parlato di "giustizia di classe": forse dovremmo avere il
coraggio di dirlo anche oggi…

Francesco "baro" Barilli

http://www.reti-invisibili.net/morticarceri/articles/art_13436.html

 

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