Aldo Bianzino, una morte da non insabbiare


di Patti Cirino


«Ti sbattono in galera che sei una anima bella/diventi un corpo
inanimato in cella/Ricordo Aldo Bianzino era un falegname/Nel suo
casolare a chi faceva del male?
» (Assalti Frontali, «Mappe della
Libertà»).
Nomi.
Alberto Mercuriali, Nicola Tommasoni, Abdul Gibre, Riccardo Raisman.
Nomi ostaggio di reticenze, impunità, ipocrisie. Nomi. Stefano Cucchi,
Federico Aldrovandi, Marcello Lonzi, Aldo Bianzino. Nomi che bussano
alle porte della coscienza e della memoria collettiva. Nomi scritti su
fredde richieste d’archiviazione. Nomi rinchiusi tra le carte degli
scaffali degli uffici giudiziari. Nomi che non vogliamo dimenticare.
Nomi e storie di violenza proibizionista, indagini inquinate e
istruttorie lacunose, verità insabbiate e circostanze anomale da
approfondire, diritti negati e informazione tagliata. Storie imbastite
di retorica securitaria, di proclami di guerra ai consumatori, di
tolleranza zero. Storie di stato in attesa di veder chiariti, in ogni
punto, i motivi, le dinamiche, le cause e le responsabilità di queste
morti misteriose. Storie in attesa di verità e giustizia.
Storie
come quella di Aldo Bianzino, falegname residente a Pietralunga,
arrestato per coltivazione e detenzione di marijuana e trovato morto,
alle 8 di mattina del 14 ottobre 2007, nella cella numero 20 sezione
2B, presso la casa circondariale di Capanne, alla periferia di Perugia,
dove era detenuto da meno di 48 ore. Morto. Di carcere. Di aneurisma
cerebrale. Di silenzio e impunità. Di allarme sociale. Di violenza. Di
indagini lacunose. Di oltraggio fisico e morale. Nudo.
Il 25
novembre scorso, all’udienza preliminare ordinaria il gip Marina De
Robertis ha rinviato a giudizio per reiterata omissione di soccorso,
omissione di atti di ufficio e falsificazione di registri l’agente di
polizia penitenziaria addetto alla sorveglianza di Aldo. Ha inoltre
ritenuto ammissibile che l’associazione «Verità e giustizia per Aldo
Bianzino» si costituisca parte civile al processo, nonostante il parere
contrario («carenza di legittimazione attiva») del pubblico ministero
Giuseppe Petrazzini. Lo stesso magistrato inquirente che emise
l’ordinanza di perquisizione della casa di Bianzino e ordinò e
convalidò l’arresto di Aldo e della sua compagna Roberta; che decise
l’autopsia, affidando le indagini al corpo di polizia penitenziaria, lo
stesso corpo indagato per omissione di soccorso; lo stesso magistrato
che ha richiesto l’archiviazione del fascicolo aperto per omicidio
volontario contro ignoti.
Ma perché non si è prestato soccorso ad
Aldo, perché si sono falsificati i registri del carcere per nascondere
quanto è accaduto? Il pm Petrazzini sostiene che «le indagini non
evidenziano, anche nella forma del minimo sospetto, l’esistenza di
aggressioni né di occasioni in cui le stesse potessero essersi
verificate». Eppure l’autopsia ha riscontrato una lesione epatica ed
esiste una perizia medico legale che recita così: «La lacerazione
epatica deve essere ritenuta conseguenza di un valido trauma occorso in
vita e certamente non può essere ascrivibile al massaggio cardiaco, in
riferimento al quale vi è prova certa che avvenne a cuore fermo». Si
può dunque escludere che la lesione al fegato sua stata provocata dai
tentativi di rianimazione di Bianzino, come invece ipotizza il pm per
escludere l’aggressione.
Ci sono molti altri punti oscuri e lacune
nelle indagini: la cella e gli oggetti ivi contenuti non sono stati
sottoposti a sequestro; non sono state disposte l’ispezione e il
sequestro della cella né sono state prese le impronte digitali; dai
filmati delle videocamere dell’istituto di pena appare un individuo (in
tuta mimetica) mai identificato.
E ancora. Perché risulta che Aldo
sia stato ricoverato in infermeria una sola volta quando un teste
sostiene di averlo visto uscire dalla sua cella due volte?
Domani,
venerdì 11 dicembre, ci sarà l’udienza per l’opposizione alla richiesta
di archiviazione per l’accusa di omicidio di Aldo Bianzino a opera di
ignoti. L’associazione sarà presente con un presidio davanti al
tribunale di Perugia.
«E quando ci incontriamo non c’è resa/e in
strada ogni volta si rinnova l’intesa,/la libertà dove sta, la trovi
nella mappa/non restare tra la gente distratta
».
(Info:http://veritaperaldo.noblogs.org) 

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