NO ALL’ARCHIVIAZIONE


 

“Arrestati e condotti nel carcere di Capanne -Aldo viene
portato in isolamento e Roberta nel braccio femminile- al termine di
una perquisizione, firmata dal PM Petrazzini, trovate solo alcune
piante di marijuana e 30 euro in contanti…”

E’ l’assurdo inizio della fine di Aldo. Uomo libero, consumatore e
coltivatore di canapa che per questo viene arrestato e muore in
carcere, in una città che si preoccupa soltanto di reprimere i
consumatori e la “manodopera di strada” mentre rimane una piazza
centrale del narcotraffico. A più di due anni da questa "misteriosa"
morte, si tenta ancora di insabbiare la verità.

Infatti, mentre è stato rinviato a giudizio l’agente di polizia
penitenziaria accusato di omissione di soccorso, viene archiviato il
procedimento per omicidio, volendo farci credere che Aldo sia “stato
ucciso” in carcere da un malore accidentale.

L’ipotesi di morte naturale viene però formulata solo dopo la
seconda autopsia sul corpo di Aldo.

Và ricordato che nella prima autopsia vengono riscontrate diverse
lesioni "compatibili con l’ipotesi di omicidio" e i medici
legali dichiarano probabile la sua morte per percosse. Nella seconda,
con l’asportazione del fegato e del cervello, la sua morte viene
fatta risalire a cause naturali, negando di fatto l’ipotesi delle
percosse.

Una terza perizia viene richiesta dal giudice e affidata agi
stessi medici legali! Il risultato? Il fegato di Aldo si sarebbe
staccato in seguito ad un massaggio cardiaco (effettuato da medici
competenti!).

Dall’analisi dagli atti che giustificano l’archiviazione
permangono diversi dubbi:

  • -Aldo viene ritrovato rannicchiato nel letto nudo con addosso
    una sola maglietta (che i familiari affermano non appartenergli) e
    con la finestra aperta, ad ottobre inoltrato.

  • -Al momento del ritrovamento del corpo di Aldo non è stata
    effettuata alcuna ispezione della cella numero 20 nella quale era
    stato rinchiuso.

  • -Nonostante viene affermato che dall’analisi delle riprese
    delle telecamere a circuito chiuso del carcere non risultino
    elementi rilevanti, non si parla del perché queste all’inizio
    vengono dichiarate non funzionanti mentre in seguito viene affermato
    che il loro funzionamento avviene con registrazioni ad intervalli
    regolari.

Inoltre come è possibile che lo stesso P.M. Petrazzini che ha
ordinato l’arresto di Aldo sia anche quello che ha indagato sulle
cause della sua morte? Non e’ corretto che uno stesso magistrato
svolga contemporaneamente il ruolo dell’accusa e della tutela (ruolo
della difesa) nei confronti della medesima persona. Al limite il
magistrato che ha emesso l’ordinanza di perquisizione nei confronti
di Aldo poteva essere sentito come parte in causa all’interno
dell’inchiesta sull’omicidio, ormai archiviata.

Questa è la “storiella” alla quale vogliono farci credere,
dandoci come “contentino” il capro espiatorio di turno.

In risposta ad uno stato che vuole controllare i cittadini e
reprimere qualsiasi comportamento che sia difforme dalla norma, e ad
un comune che non si è mai esposto su questa vicenda continuando
invece ad alimentare politiche securitarie attraverso la
privatizzazione del controllo sui nostri corpi e le nostre vite (vedi
Stuart in centro e il recente provvedimento sul pubblico decoro), noi
continueremo ad opporci a questa sicurezza che vuole limitare le
nostre libertà individuali e che allo stesso tempo lascia impuniti
casi molto simili a quello di Aldo come quelli di Stefano Cucchi, Marcello Lonzi e Stefano
Frapporti, solo per citarne alcuni, ma che potrebbe capitare a tutti
noi in qualsiasi momento.

Continueremo quindi a diffondere lotte dal basso e consapevolezza
perché non si può finire in carcere per qualche pianta d’erba in
nome di una sicurezza che è solo repressione e morte.

Comitato verità e giustizia per Aldo

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