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«QUELLA NOTTE l’ho sentito gridare. Chiedeva aiuto…

da La Nazione del 28/10/2007 
di ERIKA PONTINI
e CRISTINA CRISCI
— PERUGIA —
«QUELLA NOTTE l’ho sentito gridare. Chiedeva aiuto, diceva che stava
male ma nessuno l’ha soccorso».
C’è una testimonianza, sembra l’unica fino ad ora, nell’inchiesta sulla
misteriosa morte in cella di Aldo Bianzino, 44 anni di Pietralunga che
ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di un agente di
polizia penitenziaria. Era la ‘guardia’ in servizio quella maledetta
notte nel braccio del carcere di Capanne che ospita la sezione transito.
Dove sostano i detenuti in attesa della convalida dell’arresto da parte
del giudice. Come Bianzino, che lunedì mattina doveva incontrare il gip.
E invece non l’ha mai visto perché è morto dopo — è il racconto di un
detenuto — aver chiesto inutilmente aiuto.
Il quarantaquattrenne di Pietralunga, arrestato con l’accusa di aver
coltivato alcune piante di marijuana, è stato trovato morto all’alba di
domenica mattina. Fino alle 20 della sera prima però sembra che Bianzino
stesse bene. Non lo dice solo la visita di ingresso in carcere — che per
qualcuno potrebbe non aver rilevato alcuni problemi sanitari — ma il
detenuto incontrò il sabato sia il legale nominato d’ufficio che il
comandante della Penitenziaria, che il cappellano di Capanne.
Il primo responso dell’autopsia eseguita dal dottor Luca Lalli parla
inoltre di un trauma recente. Le lesioni al cervello e all’addome non
risalirebbero indietro nel tempo.

LA PROCURA punta molto proprio sulle risposte definitive e certe dei
medici legali. Domani infatti il pubblico ministero Giuseppe Petrazzini
affiderà un nuovo incarico al dottor Luca Lalli e alla dottoressa Anna
Aprile di Padova. Quest’ultima aveva eseguito la perizia sulla piccola
Maria Geusa, ritenendo che la causa di morte era stato un violento
‘shaking’ compiuto sulla bimba di appena due anni e sette mesi. Stessa
manovra che si ipotizza potrebbe essere stata praticata a Bianzino.
All’accertamento, irripetibile, prenderanno parte anche i medici legali
di parte: Laura Paglicci Reattelli nominata dall’avvocato Massimo
Zaganelli che assiste la compagna e Walter Patumi chiamato dall’avvocato
Donatella Donati per la ex moglie. Sembra che ancora l’agente, difeso
dall’avvocato Vincenzo Rossi, non abbia nominato alcun consulente.

SUL FRONTE investigativo invece gli accertamenti non porterebbero
all’individuazione certa di presunti responsabili se di omicidio si è
trattata (il fascicolo è stato aperto con questa ipotesi di reato). Le
telecamere piazzate dentro Capanne non sarebbero state di alcun aiuto
agli inquirenti. Come pure le dichiarazioni del personale e dei detenuti
(fatta eccezione per l’uomo che ha parlato di possibili omissioni).

INTANTO ROBERTA, la compagna di Bianzino, continua ad aspettare una
verità che «ora diventa sempre più angosciante». Sono passati tanti,
troppi giorni in attesa di rivedere se non altro la salma del suo
compagno. E le novità investigative non fanno certo esultare la donna:
«Io voglio solo che si trovi il colpevole o i colpevoli. So che la
giustizia sta facendo il suo corso, ma il timore che non si raggiunga la
verità è tanto — dice — non mi interessa sapere chi non ha fatto i
dovuti controlli all’interno del carcere. Io vorrei capire il perché sia
accaduto questo e soprattutto cosa è successo lì dentro. E non mi sembra
di chiedere tanto visto che in quella cella è morto il mio compagno, il
padre di mio figlio. E con lui se n’é andata un pezzo della nostra vita».

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La Nazione … ottobre 2007

VA CHIARITA LA MORTE DI MIO MARITO

IL DOLORE DELLA COMPAGNA DI ALDO BIANZINO, TROVATO SENZA VITA IN CELLA, L’AUTOPSIA: RISCONTRATE ALCUNE LESIONI. I PARENTI NON HANNO ANCORA VISTO IL CORPO
Di Cristina Crisci, Fabrizio Paladino su cronace Città di Castello

“Voglio chiarezza sulla morte di mio marito. Noi avevamo commesso un errore e già lo stavamo pagando: ora se c’è qualcuno che ne ha fatto uno molto più grande deve essere scoperto.”
Sono le parole di Roberta Radici, la compagna di Aldo Bianzino, pronunciate ieri di fronte a tanti amici che dal giorno della tragedia si sono stretti attorno a lei ed al figlio di 14 anni. La famiglia dell’uomo deceduto in circostanze misteriose nella casa circondariale di Capanne vuole la verità e per raggiungerla è pronta a tutto compresa una mobilitazione con il coinvolgimento delle istituzioni, a partire dal comune di Pietralunga. Una verità che, tuttavia, ancora appare abbastanza lontana. In questura è un susseguirsi di incontri.

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Liberazione, 23 ottobre 2007

Perugia: ha emorragie e costole rotte… ma muore "d’infarto"
di Checchino Antonini

Di sicuro si sa che non gli hanno neanche detto che Aldo era morto. Quando Roberta ha chiesto del suo compagno le è stato detto soltanto che lo avrebbe rivisto dopo l’autopsia. Di sicuro si sa che Aldo Bianzino, 44 anni, è morto all’alba di una domenica, il 15 ottobre, in una cella del carcere di Capanne, Perugia. Di sicuro si sa che era stato arrestato il venerdì prima, assieme a Roberta, la madre del più giovane dei suoi tre figli. È successo nel casale sopra Pietralunga, tra Città di Castello, Gubbio e Umbertide.

Prima la perquisizione alle 7 del mattino, con il cane antidroga che non trova nulla nel casale. Ma poi, dietro un cespuglio spuntano alcune piante di marijuana. I giornali locali riportano cifre consistenti. Un centinaio di piante ma forse hanno fatto la somma con le piante maschio trovate in fosso secche e inutilizzabili. Di sicuro sappiamo che Roberta e Aldo sono stati portati al commissariato di Città di Castello per le formalità di rito e da lì trasferiti, con un mandato d’arresto spiccato dallo stesso pm che si occupa della morte di Aldo, al carcere di Capanne, struttura di media sicurezza, dove non c’è il regime duro dell’articolo 41, come a Spoleto o Terni. Struttura moderna, nuova, inaugurata da Castelli quand’era Guardasigilli di Berlusconi.

Di sicuro si sa, l’ha detto la famiglia, che il comportamento degli agenti di Città di Castello sia stato corretto. Roberta e il suo compagno si sono persi di vista solo all’arrivo in carcere, pomeriggio di venerdì 13. Di sicuro, un avvocato d’ufficio li ha visti il giorno appresso, prima lui poi lei. Aldo stava in condizioni normali, solo era preoccupato per Roberta. Roberta che sarebbe stata rilasciata la mattina dopo. Di sicuro si sa che il medico legale avrebbe presto escluso l’ipotesi di una morte per infarto.

Anzi, avrebbe riscontrato quattro emorragie cerebrali, almeno due costole rotte e lesioni a fegato e milza. Di sicuro, e di strano, si sa che non c’erano segni esteriori. Tanto da lasciare perplessi i consulenti incaricati della perizia. Di sicuro si sa che le ferite al fegato non sono idonee a cagionare la morte, spiega a Liberazione uno dei legali della famiglia. "Di sicuro sappiamo che è arrivato a Capanne in condizioni di assoluta normalità e da lì non è uscito".

Trauma non accidentale, non è morto perché caduto dal letto a castello. Lesioni compatibili con l’omicidio, scrivono i giornali locali. Ci si chiede se siano opera del caso oppure opera dell’uomo. Un arrestato resta in isolamento fino a quando non lo vede il giudice delle indagini preliminari. Dunque Aldo Bianzino non dovrebbe aver avuto contatti con altri detenuti. "Una risposta importantissima verrà dall’analisi dell’encefalo – continua l’avvocato – ora messo sotto formalina in attesa che raggiunga una certa rigidità, che "0 materiale si fissi", come dicono gli specialisti".

Intanto, però, i familiari non hanno ancora potuto vedere il corpo, né sanno quando sarà possibile organizzare i funerali. Di sicuro si sa che Aldo era particolarmente mite, "ghandiano", pacifista, totalmente incensurato. La notizia piomba nella piccola comunità spirituale di cui Roberta e Aldo, che era arrivato dal Piemonte una ventina d’anni fa, passando per l’India, fanno parte. E piomba in un giorno di festa religiosa trovando tutti increduli. Aldo che era magro, etereo, alto, con certi occhi azzurri dietro le lenti. "La mitezza in persona", racconta una voce a Liberazione. "Così rispettoso e riservato da metterti in soggezione, quasi a farti dire ho paura di entrare nella sua sfera". "Infarto? Come può essere? L’hanno pestato, ma perché dovrebbero averlo menato? Il dubbio sottile passava tra una mente e l’altra", continua il racconto dell’incredulità di quella domenica.

Chi lo conosceva dall’84 lo immagina "calmo" dentro quella cella, "in preghiera, a chiedersi il perché di quella condizione". Persona riservata colta, segnato da un’esperienza spirituale con un maestro induista "che non indottrina, non chiede proselitismo, non chiede di stare fuori dal mondo, che non impone precetti rigidi ma solo il principio quasi benedettino di pregare e lavorare, i comandamenti di verità, semplicità e amore".

Era questo ad aver portato Aldo in Umbria alla ricerca di una dimensione diversa più vicina alla natura, in una comunità a maglie larghe, "che a volte il mondo frantuma perché ognuno di noi si deve affaticare nel mondo". Ma lo stile cercato è quello di "vivere più semplicemente possibile, con tutte le difficoltà di questo mondo che, lo si voglia o no, si ripercuotono sempre anche su di noi".

Di sicuro si sa che due poliziotti sono tornati a casa di Roberta, sconvolti, quasi a scusarsi per averlo condotto in galera. Roberta è più scossa di loro. Di sicuro si sa che era un bravo falegname, suonava l’armonium e cantava il canto rituale di devozione. Di sicuro si sa che a giugno del 2006 è morta suicida un’italiana di 44 anni nel centro clinico del penitenziario, nel vecchio carcere, e che qualche giorno dopo i Nas hanno scoperto medicinali e materiali scaduti nello stesso centro dopo la morte di un detenuto tunisino di Capanne che aveva appena subito un intervento chirurgico. Di squadrette, finora, non ha parlato nessuno. Di sicuro si sa che il proibizionismo ha ucciso ancora.

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ARTICOLO SU “LIBERAZIONE” 23/10/2007

Arrestato due giorni prima per possesso di marijuana

Perugia, muore in cella

L'autopsia: costole rotte

e lesioni al cervello

Checchino Antonini

Di sicuro si sa che non gli hanno neanche detto che Aldo era morto.
Quando Roberta ha chiesto del suo compagno le è stato detto soltanto che
lo avrebbe rivisto dopo l'autopsia. Di sicuro si sa che Aldo Bianzino,
44 anni, è morto all'alba di una domenica, il 15 ottobre, in una cella
del carcere di Capanne, Perugia. Di sicuro si sa che era stato arrestato
il venerdì prima, assieme a Roberta, la madre del più giovane dei suoi
tre figli. E' successo nel casale sopra Pietralunga, tra Città di
Castello, Gubbio e Umbertide. Prima la perquisizione alle 7 del mattino,
con il cane antidroga che non trova nulla nel casale. Ma poi, diero un
cespuglio spuntano alcune piante di marijuana. I giornali locali
riportano cifre consistenti. Un centinaio di piante ma forse hanno fatto
la somma con le piante maschio trovate in fosso secche e inutilizzabili.
Di sicuro sappiamo che Roberta e Aldo sono stati portati al
commissariato di Città di Castello per le formalità di rito e da lì
trasferiti, con un mandato d'arresto spiccato dallo stesso pm che si
occupa della morte di Aldo, al carcere di Capanne, struttura di media
sicurezza, dove non c'è il regime duro dell'articolo 41, come a Spoleto
o Terni. Struttura moderna, nuova, inaugurata da Castelli quand'era
Guardasigilli di Berlusconi.

Di sicuro si sa, l'ha detto la famiglia, che il comportamento degli
agenti di Città di Castello sia stato corretto. Roberta e il suo
compagno si sono persi di vista solo all'arrivo in carcere, pomeriggio
di venerdì 13. Di sicuro, un avvocato d'ufficio li ha visti il giorno
appresso, prima lui poi lei. Aldo stava in condizioni normali, solo era
preoccupato per Roberta. Roberta che sarebbe stata rilasciata la mattina
dopo. Di sicuro si sa che il medico legale avrebbe presto escluso
l'ipotesi di una morte per infarto. Anzi, avrebbe riscontrato quattro
emorragie cerebrali, almeno due costole rotte e lesioni a fegato e
milza. Di sicuro, e di strano, si sa che non c'erano segni esteriori.
Tanto da lasciare perplessi i consulenti incaricati della perizia. Di
sicuro si sa che le ferite al fegato non sono idonee a cagionare la
morte, spiega a Liberazione uno dei legali della famiglia, Massimo
Zegarelli del foro perugino. «Di sicuro sappiamo che è arrivato a Capane
in condizioni di assoluta normalità e da lì non è uscito». Trauma non
accidentale, non è morto perché caduto dal letto a castello. Lesioni
compatibili con l'omicidio, scrivono i giornali locali. Ci si chiede se
siano opera del caso oppure opera dell'uomo. Un arrestato resta in
isolamento fino a quando non lo vede il giudice delle indagini
preliminari. Dunque Aldo Bianzino non dovrebbe aver avuto contatti con
altri detenuti. «Una risposta importantissima verrà dall'analisi
dell'encefalo – continua l'avvocato – ora messo sotto formalina in
attesa che raggiunga una certa rigidità, che "il materiale si fissi",
come dicono gli specialisti». Intanto, però, i familiari non hanno
ancora potuto vedere il corpo, né sanno quando sarà possibile
organizzare i funerali.

Di sicuro si sa che Aldo era particolarmente mite, "ghandiano",
pacifista, totalmente incensurato. La notizia piomba nella piccola
comunità spirituale di cui Roberta e Aldo, che era arrivato dal Piemonte
una ventina d'anni fa, passando per l'India, fanno parte. E piomba in un
giorno di festa religiosa trovando tutti increduli. Aldo che era magro,
etereo, alto, con ceti occhi azzurri dietro le lenti. «La mitezza in
persona», racconta una voce a Liberazione. «Così rispettoso e riservato
da metterti in soggezione, quasi a farti dire ho paura di entrare nella
sua sfera». «Infarto? Come può essere? L'hanno pestato, ma perché
dovrebbero avero menato? Il dubbio sottile passava tra una mente e
l'altra», continua il racconto dell'incredulità di quella domenica. Chi
lo conosceva dall'84 lo immagina «calmo» dentro quella cella, «in
preghiera, a chiedersi il perché di quella condizione». Persona
riservata colta, segnato da un'esperienza spirituale con un maestro
induista «che non indottrina, non chiede proselitismo, non chiede di
stare fuori dal mondo, che non impone precetti rigidi ma solo il
principio quasi benedettino di

pregare e lavorare, i comandamenti di verità, semplicità e amore». Era
questo ad aver portato Aldo in Umbria alla ricerca di una dimensione
diversa più vicina alla natura, in una comunità a maglie larghe, «che a
volte il mondo frantuma perché ognuno di noi si deve affaticare nel
mondo». Ma lo stile cercato è quello di «vivere più semplicemente
possibile, con tutte le difficoltà di questo mondo che, lo si voglia o
no, si ripercuotono sempre anche su di noi».

Di sicuro si sa che due poliziotti sono tornati a casa di Roberta,
sconvolti, quasi a scusarsi per averlo condotto in galera. Roberta è più
scossa di loro. Di sicuro si sa che era un

bravo falegname, suonava l'armonium e cantava il canto rituale di
devozione. Di sicuro si sa che a giugno del 2006 è morta suicida
un'itaiana di 44 anni nel centro clinico del penitenziario, nel vecchio
carcere, e che qualche giorno dopo i Nas hanno scoperto medicinali e
materiali scaduti nello stesso centro dopo la morte di un detenuto
tunisino di Capanne che aveva appena subito un intervento chirurgico. Di
squadrette, finora, non ha parlato nessuno. Di sicuro si che il
proibizionismo ha ucciso ancora.

 

da " Liberazione " 

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La Nazione mercoledì 17 ottobre 2007

LA MORTE IN CELLA

L’AUTOPSIA NON CHIARISCE IL GIALLO

STRETTO RISERBO SULL’ESITO DELL’ESAME

Articolo di Fabrizio Paladino su Cronaca di Città di Castello

LA STORIA: DOPO L’ARRESTO PER SPACCIO IMPROVVISO DECESSO NEL CARCERE
Resta ancora avvolta nel giallo la morte improvvisa, in una cella del carcere di Capanne di Perugia, di Aldo Bianzino, l’uomo di 44 anni arrestato venerdì mattina per coltivazione e spaccio di droga.
Ieri mattina all’Istituto di medicina legale dell’università di Perugia, ha avuto luogo l’autopsia da parte del medico legale dott. Luca Lalli (la famiglia aveva nominato un suo perito di fiducia, il dottor Patumi).
Sull’esito dell’esame vige il più stretto riserbo da parte degli inquirenti anche se resta sempre ipotizzabile il decesso a causa di un infarto al miocardio.

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