Aldo e Stefano, due storie simili non solo nella morte


di Emanuele Giordana

Arresto per droga, omissione di soccorso, e infine la morte. L’unica differenza è geografica
La morte in carcere ha sempre un comun denominatore: la reticenza e i
contorni oscuri in cui è avvenuta e sui quali è sempre difficile far
luce. Ma nella vicenda di Stefano Cucchi le analogie con un altra morte
sospetta sono così numerose e l’iter investigativo così simile, da far
pensare a una tragica fotocopia. Molti giornali e molti osservatori
hanno recentemente ricordato la vicenda di Aldo Bianzino,
un ebanista di Pietralunga che entrò in carcere una sera di ottobre per
uscirne cadavere due giorni dopo. L’articolo qui sopra che ricorda
quella storia mette in luce un iter terribilmente simile, fatte le
dovute differenze, con quello della vicenda di Stefano Cucchi. Due
arrestati per possesso di sostanze stupefacenti muoiono in prigione. In
entrambi i casi si guarda agli agenti di polizia penitenziaria e alla
possibile ricostruzione dei vicini di cella, questi ultimi – come ha
rilevato nella sua visita a Regina Coeli il senatore Stefano Pedica –
intimiditi dalla possibilità di rappresaglie.

Si indaga per omicidio
preterintenzionale ma poi si scivola sul delitto colposo. Rapidamente
l’attenzione si sposta dal carcere alla struttura sanitaria per Cucchi
e, per Bianzino, su chi non
gli avrebbe prestato soccorso medico. Dal dolo alla colpa. Lacerazioni,
echimosi, fratture sono presenti nei due casi ma sembrano passare in
secondo piano rispetto al decesso in sé: Cucchi forse morì perché
«disidratato». Bianzino morì
per un aneurisma. Fatti che dunque esulano da cosa causò, del tutto o
in parte, direttamente o indirettamente, la morte. La parabola sembra
dirigersi nei due casi verso l’omissione di soccorso come sembra voler
dire il ministro Alfano quando recita che «…si doveva evitare che
morisse (perché) uno Stato democratico assicura alla giustizia e può
privare della libertà chi delinque. Ma nessuno può essere privato del
diritto alla salute». Dal diritto a vivere al diritto alla salute, una
derubricazione pericolosa. Infine le lacune: furono tantissime nel caso
di Bianzino, sono altrettante
nel caso di Cucchi, come ricordava ieri Luigi Manconi (che visitò da
sottosegretario alla Giustizia la vedova di Aldo recandosi di persona a
casa sua): almeno tre.
Come finirà con Bianzino
lo si saprà l’11 dicembre quando il gip dovrà pronunciarsi sulla
seconda opposizione fatta dalla famiglia di Aldo dopo la seconda
richiesta di archiviazione del pm.
C’è solo una vera grande
differenza tra i due casi. Stefano è morto a Roma sotto gli sguardi,
per forza attenti, della stampa nazionale. Aldo morì nella casa
circondariale di Perugia senza che il suo caso, salvo rare eccezione,
riuscisse a incuriosire le frotte di cornisti che, solo qualche
settimana dopo, invasero la città umbra per seguire il ben più vivace e
allettante caso della povera Meredith Kercher. Anche la geografia
finisce a dar più o meno peso a vittime del tutto uguali davanti alla
morte.

tratto da il manifesto

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