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BASTA MORTI DI PROIBIZIONISMO!

Un anno fa, il 15 ottobre del 2009, veniva arrestato dai Carabinieri un giovane come tanti, Stefano Cucchi 30 anni, colpevole della detenzione di una modica quantità di sostanza stupefacente. Dopo una settimana di violenze subite ad opera dei
Pubblici Ufficiali che lo ebbero in custodia e di colpevoli negligenze dei medici del reparto protetto del Sandro Pertini, il 22 ottobre moriva abbandonato in un letto di ospedale.

L’11 ottobre 2010 a Bologna e’ morto per un probabile abuso di sostanze stupefacenti Enrico Murolo 19 anni dopo essersi sentito male in un locale bolognese. Due morti apparentemente diverse ma entrambe frutto di politiche proibizioniste e oscurantiste che invece di investire in PREVENZIONE con progetti di riduzione dei rischi, servizi a bassa soglia , come ormai in tutti i
paesi civili si fa’, preferiscono fare scoppiare le carceri punendo i consumatori come criminali. Da tempo denunciamo invano a Bologna la pressoché totale assenza d’interventi di riduzione dei rischi nel mondo della notte con operatori esperti in grado di riconoscere e soccorrere tempestivamente consumatori in difficoltà per overdose o mix pericolosi, come se chi utilizza sostanze psicoattive non abbia più alcun diritto.

Ormai da anni la politica del Comune alimenta la paura della gente: si parla di degrado, si demonizzano gli immigrati lavavetri, i
tossicodipendenti in piazza verdi, i senza fissa dimora, si fanno lotte perbeniste contro i writers come fossero il grande problema di questa citta’, insomma le parole d’ordine sono PULIZIA e POLIZIA! Non s’incentiva alcun intervento informativo – culturale all’interno dei luoghi di aggregazione giovanile e nelle scuole, i dormitori chiudono, i servizi a bassa soglia vengono ‘sospesi’ come il drop-in in via Paolo Fabbri.
Ci sentiamo in dovere di denunciare LE “POLITICHE SOCIALI” della CITTA’ di BOLOGNA che vediamo perfettamente in linea con quella
nazionalfascista del governo centrale, che con le sue leggi lavora per eliminare fisicamente la gente che ha problemi e non i problemi della gente! Per chi vive per strada, ai margini della società, per chi ha problemi di dipendenza, per immigrati senza documenti, le uniche porte che si aprono sono CARCERE, C.I.E., T.S.O. e FOGLIO DI VIA

Per parlare di battaglie di civiltà INCONTRIAMOCI VENERDI’ 22 ottobre ore21.00 via Paolo Fabbri A Vag 61 con Nicola Valentino autore di “L’ergastolo.

Dall’inizio alla fine” (ed. Sensibili alle Foglie) in cui “attraverso l’esperienza personale, vissuta dall’inizio alla fine, le testimonianze
e gli scritti di ergastolani d’ogni tempo, l’autore pone una domanda essenziale: può la nostra società, con un guizzo di civiltà, liberarsi di questo residuo della schiavitù?”.

SABATO 23 ottobre ore 15.00
Scalinata Montagnola Via Irnerio MANIFESTIAMOCI alla CITTA’

Nelle carceri oggi Il 27% dei detenuti è composto da tossicodipendenti. Il 38% da immigrati senza documenti.
INVESTIRE SUI SERVIZI ALLA PERSONA
ABOLIRE la legge Fini-Giovanardi sulle droghe e la Bossi-Fini sull’immigrazione

SONO BATTAGLIE DI CIVILTA’

www.livello57.org lab57.indivia.net

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Comunicato detenuti di Tolmezzo

Un’altro pestaggio in carcere, questa volta a Tolmezzo (Udine), i secondini manganellano un ragazzo e  poi lo imbottiscono di  psicofarmaci.
Qui di seguito un comunicato di alcuni detenuti.

Tolmezzo 15/08/2010
Noi detenuti della casa circondariale di Tolmezzo abbiamo deciso di scrivere questa lettera dopo l’ennesimo pestaggio avvenuto nelle carceri italiane.
Dopo i casi di Marcello Lonzi a Livorno, di Stefano Cucchi a Roma e di Stefano Frapporti a Rovereto e di tanti, troppi altri in giro per la penisola, siamo costretti a vedere con i nostri occhi che la situazione carceraria in italia non è cambiata per niente.
Mentre da una parte ci si aspetta dai detenuti silenzio e sottomissione per una situazione inumana (quasi 70.000 prigionieri a fronte di nemmeno 45.000 posti, percorsi di reinserimento sociale pressochè inesistenti, scarsissima assistenza sanitaria, fatiscenza delle strutture ecc…) si ha dall’altra il solito trattamento vessatorio da parte del personale penitenziario, non giustificabile con la solita scusa sulla scarsità di uomini e mezzi.
Denunciamo quello che, ancora una volta, è successo venerdì 13 agosto proprio qui a Tolmezzo, dove un ragazzo, M.F., è stato picchiato con tanto di manganelli nella sezione infermeria.
Se come per altre volte i protagonisti dell’aggressione erano, tra gli altri, graduati ormai noti ai detenuti per le loro provocazioni, l’altra costante è  stata la completa assenza del comandante delle guardie e della direttrice dell’istituto.
La nostra situazione è fin troppo pesante per accettare la sottomissione fisica dopo quella psicologica.
Per noi tacere oggi potrebbe voler dire ricevere bastonate domani se non fare la fine dei vari Stefano o Marcello domani l’altro.
Noi non ci stiamo e con questa nostra ci rivolgiamo a chiunque nel cosidetto mondo libero voglia ascoltare, affinchè la nostra voce non cada morta all’interno di queste mura.

alcuni detenuti del carcere di Tolmezzo

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Noi donne in lotta… a tre mesi dall’arresto di Michela

 “In questo mondo di cyberpoliziotti noi vogliamo esplorare il nostro universo immaginario, i nostri desideri e sogni di potere. Vogliamo disegnare l’avvenire a nostra immagine” Rosi Braidotti
                        
 
Il 31 maggio l’ultima udienza del processo per resistenza a pubblico ufficiale a Michela, arrestata il 10 aprile scorso a Perugia mentre trascorreva una serata tra amici, è stata rimandata al 30 giugno 2010.
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LIBERTA’ E SICUREZZA: MA PER CHI? Appello del Comitato Verità e Giustizia per Aldo Bianzino

“Ci vuole che la lingua abbia il permesso
La mente a dire
Ciò che il cuore sente”

Libertà: stato di chi è libero, condizione di chi ha la possibilità di
agire senza essere soggetto all’autorità o al dominio altrui.

Sicurezza: condizione di chi o di ciò che è esente da pericoli o
protetto
da possibili pericoli.

Il Comitato Verità e Giustizia per Aldo Bianzino, promuove due giorni di confronto e riflessione,su autoritarismo, proibizionismo,
carcere e sicurezza il 25 e il 26 giugno 2010 per essere agenti di
memoria collettiva, e praticare forme di solidarietà attiva che
disinneschino nuove richieste di archiviazione e mettano in luce tutte
le contraddizioni e le distorsioni delle “verità” di Stato, per
costruire insieme delle buone pratiche di autodifesa da abusi,
repressioni e pestaggi, venduti come atti di legalità.

Ma LIBERTÀ e SICUREZZA di chi?
Dell’occhio vitreo, di quarzo che ci scruta, ci segue, cattura i nostri gesti, li memorizza e li reinterpreta in mille modi senza che noi ce ne
accorgiamo. Nei parcheggi, nelle piazze, nelle strade, al lavoro, alla
stazione, allo stadio, al supermercato. Telecamere…. puntate
sull’effervescenza sociale, su comunità di pratiche, di espressione di dissenso dal controllo sociale di massa,
pronte
a generare paure allarmiste, fobie reazionarie e intolleranze sociali, concentrate a stigmatizzare ogni pensiero critico, stili di vita non
conformi all’omologazione e alla regia repressiva segregante e
discriminatoria che giustifica il proibizionismo omicida.

L’arma della disinformazione di massa, la produzione di studi
scientifici ambigui e tendenziosi utilizzati come base per sviluppare panico, la
paura indotta, il controllo sistematico sulle nostre vite e sui nostri
corpi e le logiche di ordine pubblico e di criminalizzazione dei
comportamenti soggettivi sta limitando pesantemente le nostre esistenze.

Anno 2008: 142 morti.
Anno 2009: 175 morti.
Maggio 2010: 76 morti.
Dal 2000 1.674 morti.

No, non sono i dati di una guerra di bande, sono i morti in carcere in Italia.
1674 morti in carcere mentre fuori dal carcere in questi 10 anni la
Cultura della “tolleranza zero”, l’ossessione della sicurezza sono diventati
i nuovi dogmi del regime assoggettato alle logiche del profitto e alla
chiesa internazionale del proibizionismo.

Prima si crea insicurezza alimentando precarietà, discriminazioni, ingiustizie sociali ed economiche, controlli polizieschi sui posti di
lavoro e nelle scuole poi si invoca sicurezza, ordine e disciplina tolleranza zero contro chi subisce queste politiche, siano essi giovani,
migranti, consumatori/trici di sostanze, casuali passanti. Si riempiono
le carceri e i centri di detenzione, che sono, sempre più, mezzi per
controllare e gestire la società.

Perugia è un laboratorio avanzato di queste politiche: il centro storico con sempre meno residenti e senza aggregati di quartiere stabili, luogo
di promozione di grandi eventi commerciali e territorio sempre più
militarizzato. Luogo di criminalità organizzata, sede di holding del
narcotraffico, riciclaggio di denaro. Usura, “affitti rapina”,
sfruttamento dell’immigrazione e della prostituzione.

Perugia è una città che pratica sperimentazioni di tecniche di controllo
sociale che negano il nostro desiderio di relazioni umane paritarie e
non mercificate.

E’ tempo di abbattere i muri del moralismo bigotto del salotto buono
cittadino, mobilitare i territori e connettere i diversi movimenti,
comitati, assemblee e praticare resistenza attiva a tutte le pratiche di
controllo sociale e alle leggi proibizioniste e libertiicide come la
Fini Giovanardi, la Bossi Fini e la Cirrielli.

Perché non ci sentiamo molto “safe” in uno stato dove ogni giorno si è
vittime di violenze vigliacche e di abusi polizieschi protetti. Vittime
di una informazione “dopata,” faziosa e chirurgica.

Perché non ci sentiamo per niente “safe”con uno stato che dialoga con il
business della reclusione e con gli imprenditori del controllo e della
“salute mentale”, le comunità lager e le carceri private; in cui è
legale la terapia elettroconvulsiva, … la somministrazione forzata di
psicofarmaci,e il ricorso alla contenzione, la restrizione de diritti
del lavoro e la precarizzazione delle condizioni di vita, i centri di
detenzione, le carceri e guerra. “War on drugs”trasformate in
persecuzione infinita ai consumatori di sostanze psicoattive, connivenza
con un sistema economico senza scrupoli che determina tipologie, prezzi
e distribuzione di sostanze (sempre più convenienti alle narcomafie) a
esclusivo profitto delle lobbies dei narcos e delle multinazionali del
petrolio e delle droghe legali.

E intanto nelle istituzioni totali italiane dalle carceri ai reparti
psichiatrici agli ospedali psichiatrici giudiziari ai centri di
identificazione e di espulsione per i migranti,

si verificano abusi e violenze, torture e uccisioni. Si applicano codici
non scritti e procedure operative per mortificare la vita dei reclusi.
Si muore in circostanze sospette. Si precipita nel silenzio
dell’impunità e nella arroganza del potere.

Questo è successo ad Aldo Bianzino. Morto in nome della sicurezza e del
proibizionismo, nel carcere di Capanne il 14 ottobre 2007. Questo è
successo a Giuseppe Ales, Federico Aldrovandi, Alberto Mercuriali.
Marcello Lonzi, Manuel Eliantonio, Stefano Cucchi, Riccardo Rasmann,
Giuseppe Uva, Niki Aprile Gatti, Stefano Frapporti, Francesco
Mastrogiovanni, Simone La Penna,

Bledar Vukaj. Nomi diversi, posti diversi, persone diverse, tutti morti
in circostanze simili.

Il comitato verità e giustizia per Aldo Bianzino propone due giorni di
riflessione e mobilitazione in cui decostruire il dogma
proibizionista con la messa in movimento di politiche dal basso, la
diffusione di strumenti e di percorsi di criticità e consapevolezza, la
sperimentazione di buone pratiche di riduzione dei rischi e dei danni,
raccontando le nostre città ed i nostri Territori.

Perugia,03/06/2010
Comitato Verità e Giustizia per Aldo Bianzino

www.veritaperaldo.noblogs.
org


veritaperaldo@autistici.or
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NO ALL’ARCHIVIAZIONE

 

“Arrestati e condotti nel carcere di Capanne -Aldo viene
portato in isolamento e Roberta nel braccio femminile- al termine di
una perquisizione, firmata dal PM Petrazzini, trovate solo alcune
piante di marijuana e 30 euro in contanti…”

E’ l’assurdo inizio della fine di Aldo. Uomo libero, consumatore e
coltivatore di canapa che per questo viene arrestato e muore in
carcere, in una città che si preoccupa soltanto di reprimere i
consumatori e la “manodopera di strada” mentre rimane una piazza
centrale del narcotraffico. A più di due anni da questa "misteriosa"
morte, si tenta ancora di insabbiare la verità.

Infatti, mentre è stato rinviato a giudizio l’agente di polizia
penitenziaria accusato di omissione di soccorso, viene archiviato il
procedimento per omicidio, volendo farci credere che Aldo sia “stato
ucciso” in carcere da un malore accidentale.

L’ipotesi di morte naturale viene però formulata solo dopo la
seconda autopsia sul corpo di Aldo.

Và ricordato che nella prima autopsia vengono riscontrate diverse
lesioni "compatibili con l’ipotesi di omicidio" e i medici
legali dichiarano probabile la sua morte per percosse. Nella seconda,
con l’asportazione del fegato e del cervello, la sua morte viene
fatta risalire a cause naturali, negando di fatto l’ipotesi delle
percosse.

Una terza perizia viene richiesta dal giudice e affidata agi
stessi medici legali! Il risultato? Il fegato di Aldo si sarebbe
staccato in seguito ad un massaggio cardiaco (effettuato da medici
competenti!).

Dall’analisi dagli atti che giustificano l’archiviazione
permangono diversi dubbi:

  • -Aldo viene ritrovato rannicchiato nel letto nudo con addosso
    una sola maglietta (che i familiari affermano non appartenergli) e
    con la finestra aperta, ad ottobre inoltrato.

  • -Al momento del ritrovamento del corpo di Aldo non è stata
    effettuata alcuna ispezione della cella numero 20 nella quale era
    stato rinchiuso.

  • -Nonostante viene affermato che dall’analisi delle riprese
    delle telecamere a circuito chiuso del carcere non risultino
    elementi rilevanti, non si parla del perché queste all’inizio
    vengono dichiarate non funzionanti mentre in seguito viene affermato
    che il loro funzionamento avviene con registrazioni ad intervalli
    regolari.

Inoltre come è possibile che lo stesso P.M. Petrazzini che ha
ordinato l’arresto di Aldo sia anche quello che ha indagato sulle
cause della sua morte? Non e’ corretto che uno stesso magistrato
svolga contemporaneamente il ruolo dell’accusa e della tutela (ruolo
della difesa) nei confronti della medesima persona. Al limite il
magistrato che ha emesso l’ordinanza di perquisizione nei confronti
di Aldo poteva essere sentito come parte in causa all’interno
dell’inchiesta sull’omicidio, ormai archiviata.

Questa è la “storiella” alla quale vogliono farci credere,
dandoci come “contentino” il capro espiatorio di turno.

In risposta ad uno stato che vuole controllare i cittadini e
reprimere qualsiasi comportamento che sia difforme dalla norma, e ad
un comune che non si è mai esposto su questa vicenda continuando
invece ad alimentare politiche securitarie attraverso la
privatizzazione del controllo sui nostri corpi e le nostre vite (vedi
Stuart in centro e il recente provvedimento sul pubblico decoro), noi
continueremo ad opporci a questa sicurezza che vuole limitare le
nostre libertà individuali e che allo stesso tempo lascia impuniti
casi molto simili a quello di Aldo come quelli di Stefano Cucchi, Marcello Lonzi e Stefano
Frapporti, solo per citarne alcuni, ma che potrebbe capitare a tutti
noi in qualsiasi momento.

Continueremo quindi a diffondere lotte dal basso e consapevolezza
perché non si può finire in carcere per qualche pianta d’erba in
nome di una sicurezza che è solo repressione e morte.

Comitato verità e giustizia per Aldo

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